Il rinoceronte

La rubrica a cura di Cristina Accardi

Il rinoceronte

Mettetevi comodi: in qualunque parte del mondo siate, se al mare o in montagna, questo mese la sfaccettatura di cultura che verrà affrontata sarà il teatro.

Il teatro fin dai greci e dai latini è stato considerato il principale mezzo di intrattenimento in cui gli histrioni (attori) potevano mettere a nudo i propri talenti attraverso varie forme d’arte come la danza, la musica e la recitazione. Inoltre, il teatro è stato da sempre visto come uno strumento per affrontare tematiche importanti che riguardassero da vicino il contesto cittadino e la società: sia attraverso la satira e lo scherno, sia attraverso il dramma e l’introspezione.

Il teatro nel corso delle epoche – come qualsiasi forma d’arte – ha subito dei mutamenti, soprattutto dato che è fortemente legato alla società e alla cultura in cui esso si esprime e si rivolge. Tra i tipi di teatro contemporaneo – che hanno caratterizzato il Novecento – ha lasciato il segno il teatro dell’assurdo: un appellativo utilizzato per indicare opere teatrali drammaturghe europee messe in atto tra gli anni quaranta e gli anni sessanta.

Il termine originariamente fu coniato dal critico Martin Esslin per indicare le opere artistiche che esprimessero il concetto filosofico di assurdità dell’esistenza. Le caratteristiche peculiari possono essere riassunte nell’abbandono della ratio: infatti, sia le azioni che il linguaggio non hanno un senso logico e consequenziale. Il tutto poi viene adornato e reso più surreale e assurdo con una forte drammaticità delle scene.

Tra gli autori di maggiore spicco di questo tipo di teatro è doveroso ricordare Eugène Ionesco.

Ionesco nato nel 1909 a Slatina, dopo un anno lui e la sua famiglia si trasferirono a Parigi, dove vivrà la Grande Guerra, che in lui lascerà un segno profondo che segnerà le sue opere. Dopo essere diventato professore di pedagogia a Bucarest si avvicina alla scrittura con la stesura di alcuni piéces. Successivamente, in modo del tutto casuale – come lui stesso affermò – si avvicinò al teatro: una forma d’arte attraverso la quale cerca di esprimere e raccontare la sua verità.

Tra gli autori di maggiore spicco di questo tipo di teatro è doveroso ricordare Eugène Ionesco. 


Il rinoceronte

Sin dagli albori della sua carriera letteraria, si distinse per il suo stile avanguardista soprattutto nel teatro. Nel 1958 raggiunse il suo massimo successo con l’opera “Il Rinoceronte”. Nel 1960 fu presentata in anteprima a Parigi al Teatro dell’Odeon.

L’opera non a caso fu intitolata rinoceronte: questo perché mette in scena un panorama utopistico dove una pandemia – chiamata appunto rinocerontite – colpisce una cittadina francese. L’assurdità e la particolarità dei tre atti non stanno soltanto nel linguaggio e nelle azioni dei personaggi, ma prima di tutto è individuabile nella trama, dato che l’effetto della rinocerontite è proprio quello di trasformare chiunque ne sia affetto in rinoceronte.

Il sipario si apre con il primo atto in cui in una cittadina francese una donna cammina tra le vie vuote e silenziose con un gatto sottobraccio. All’improvviso a irrompere quel silenzio è l’incontro tra i due protagonisti dell’opera Jean e Berenger che stanno tranquillamente prendendo un caffè. Il rapporto tra i due amici è un po’ travagliato a causa delle brutte considerazioni che Jean ha di Berenger: lo considera talmente sciatto da vergognarsene. Infatti, Jean non manca di elencargli tutte le cose che lo ripugnano: come il vizio per l’alcol, le orge e altri atteggiamenti considerati da lui deplorevoli. In tutto questo, Berenger non sembra dare molto importanza alle parole dell’amico, un po’ intontito inizialmente – probabilmente da qualche notte brava – improvvisamente rompe quel “silenzio assenso” con la frase «Io non mi adatto alla vita». In quella frase si può percepire come Berenger cerca di opporsi al conformismo che caratterizza la società in cui vive.

Dopo quella frase d’esordio, a irrompere la tranquillità dell’atto è l’entrata in scena di un rinoceronte che crea scompiglio. In tutto questo l’unico a rimanere impassibile è Berenger che cerca di dare una spiegazione alla situazione. Mentre i due amici discutono – in disaccordo sull’evidente assurdità di ciò che sta accadendo intorno a loro – entra in scena un angusto personaggio chiamato il filosofo: personaggio abbastanza singolare che approfondisce un sillogismo al quanto simpatico con un vecchio.

«I gatti hanno 4 zampe, quindi Isidoro e Fricot hanno ciascuno quattro zampe dunque sono dei gatti».

A questo, il vecchio risponde con «il mio cane ha quattro zampe dunque è un gatto»

Il filosofo dunque dà ragione all’anziano e continua il sillogismo – già abbastanza fallace – con uno altrettanto non funzionale: «I gatti sono mortali anche Socrate è mortale, dunque Socrate è un gatto».

Dopo questa scena l’attenzione si focalizza nuovamente sui due amici: da un lato c’è Jean che elogia la sua forza morale – personificando il narcisista, megalomane, individualista – e poi dall’altro c’è Berenger che invece rappresenta il nichilista cinico, il quale vede nell’atto del vivere una cosa anormale.

In tutto questo i rinoceronti si moltiplicano. La tranquillità, l’equilibrio e la routine di una piccola cittadina si frantuma con una serie di eventi surreali: le persone trasformatasi in rinoceronti creano il caos creando uno stato di terrore e paura tra i cittadini. Nell’ultimo atto anche Jean prenderà la rinocerontite sotto gli occhi increduli di Berenger. Malgrado il trambusto creato da queste metamorfosi, la nuova condizione viene accettata dai personaggi che cominciano a considerarla normale. 

Sono le emozioni e i pensieri di Berenger a dare numerosi spunti di riflessione: lui nonostante sia rimasto l’unico essere umano, comincia a pensare di essere malato e fuori posto.

Con questo testo Ionesco vuole trattare e combattere il conformismo e l’omologazione di cui la società sembra invece invasa. Infatti, attraverso la narrazione della rinocerontite – che racchiude in sé il simbolo del conformismo – critica e denuncia la società del tempo con il personaggio di Berenger: in una società omologata e lobotomizzata – dove la diversità e le particolarità vengono viste come un elemento discriminante a causa delle quali vengono creati muri che leniscono la libertà di ogni individuo – un individuo come Berenger - non omologato al gregge e alla massa – si sente inadeguato e sbagliato.