All'inferno

All'inferno

di Jo March

Era un ometto insignificante, il signor Rossi, assolutamente privo di senso dell’umorismo; prendeva tutto alla lettera e spesso, corrucciando la fronte, si domandava cosa gli volessero dire.

Aveva finito di rigovernare il piccolo piano cottura dopo aver cenato, da solo.

Le sue giornate, ormai da anni, erano scandite da abitudini che gli servivano per colmare il vuoto lasciato da Maria, sua moglie, che lasciandolo aveva detto: “ Non ti sopporto più, sei una persona stupida e con te morirei di noia” e, sbattendosi la porta alle spalle, era scomparsa dalla sua vita, dalla sua casa, che d’un tratto si era riempita di un silenzio minaccioso, che egli combatteva tenendo continuamente acceso il televisore e commentando, ad alta voce, ogni notizia trasmessa.

 

“ E per finire, vi ricordiamo che domani sarà la giornata dedicata a Dante Alighieri, il sommo poeta che scrisse la Divina Commedia”. Così l’annunciatrice chiuse il telegiornale.

Il signor Rossi spense il televisore borbottando: “ Figuriamoci, è sempre la giornata per qualcosa o per qualcuno, adesso tocca a Dante e a tutte le sue sciocchezze”.

Detto ciò, s’infilò tra le lenzuola e si addormentò in pace.

In pace! È proprio il caso di dirlo, perché il signor Rossi, quella notte, inaspettatamente, morì.

 

La sua anima smarrita si ritrovò in una sala d’attesa, piena di anime sperse e confuse come lui.

Alcune rassegnate sedevano con i gomiti sui ginocchi e il viso tra le mani, altre con fare nervoso passeggiavano per la sala. Una donna non ancora persuasa di dove si trovasse chiedeva a tutti:

“ C’è d‘aspettare molto? Non vorrei far tardi dal parrucchiere” e, intanto, si passava una mano sulla corta capigliatura disordinata.

Il signor Rossi, timido e inebetito, vagava per la sala con passo incerto, cercava un posto dove sedersi.

Gli fu detto, da un angelo guardiano, di prendere il numeretto dall’apposito dispenser e di attendere il suo turno: “ Nel frattempo -consigliò l’angelo-, faccia un esame di coscienza, sarà utile per snellire il lavoro del pubblico ministero celeste. Sa, i dieci comandamenti, almeno, veda lei”.

Il signor Rossi sedette, rifletté e si consolò: i dieci comandamenti li aveva rispettati, anche se non ne ricordava l’ordine e nel contarli gliene sfuggiva sempre qualcuno.

Aspettò a lungo e chiese all’angelo quanto tempo ancora doveva attendere: “Signor Rossi, il tempo qui non esiste, si rassegni, lei è ormai nell’eternità”.

Dopo qualche poco di eternità, da un microfono nascosto, venne una voce solenne: “Venga, venga, signor Rossi, entri dalla porta celeste".

Gli tremavano le gambe mentre attraversava l’uscio e gli tornarono alla mente i versi di Dante: ‘Per me si va nella città dolente…’, ma si rassicurò, per lui al massimo una piccola penitenza, non era mai stato un grande peccatore.

Il giudice, in toga bianca, lo invitò a sedersi indicandogli una poltrona; poi, con fare severo, gli spiegò che gli erano assegnati dieci punti, che gli avrebbe fatto delle domande, alle quali doveva rispondere con un sì o con un no e, per ogni volta che avesse mentito, avrebbe perso un punto. A secondo dei punti perduti avrebbe avuto la sentenza.

Un display si accese, segnando in rosso fluorescente il numero dieci.

“ Va bene” disse la povera anima e, seduta in pizzo alla sedia, tesissima, attese la prima domanda.

“Hai rubato?” chiese l’inquisitore.

“No, mai!” rispose sicuro il signor Rossi.

Il display fece un bip e apparve il numero nove. Sul monitor un’immagine mostrò un ragazzino che prelevava una banconota dal portafogli di suo padre.

“ Ma…” cominciò a dire.

“ Sì o no, - disse seccamente il giudice- non cominciamo ad accampar scuse”.

“ Hai onorato i tuoi genitori?”

“ Sì”, disse l’anima, con un moto d’affetto.

Il display si fece più rosso e, con un bip, mostrò l’uomo che accompagnava il padre malato in una struttura per anziani.

L’anima dolente chinò il capo.

“ Hai desiderato la roba d’altri con invidia e malevolenza?”

“ Beh…” disse lui.

“ Sì o no” ribadì l inquisitore.

“ Hai ucciso?“ e il monitor lo mostrò in divisa, armato, in guerra.

Di domanda in domanda, in un angosciante bip bip il display si azzerò.

“ In nome di Dio, ti condanno al fuoco eterno” sentenziò il procuratore celeste.

Il signor Rossi colpito dal giudizio, a suo parere ingiusto, fu preso da un’ira irrefrenabile:

“ Secondo la sua legge sono dannato” gridò, balzando in piedi ed alzando il dito indice verso il cielo: “Ma è proprio secondo la sua legge che io, un uomo, lo chiamo qui, a mostrarsi finalmente senza intermediari, senza santi, angeli, madonne,  a rispondere, adesso, a me, del suo operato”.

Il signor Rossi era un altro uomo, anzi un’altra anima, preso da furore gridò:

“Io ti chiedo conto dell’imperfezione della tua opera. Hai creato un mondo dove regna la legge del più forte, e hai creato me, di carne e ossa, poi mi hai lasciato, tu, dicendoti padre, a lottare contro il male che tu stesso hai generato; hai preteso da me rinunce, mortificazioni, dolore, sapendo, perché tu sai tutto, che non ce l’avrei fatta, non potevo! Io ti chiedo dov’eri tu?

Ti ho invocato, quando il dolore mi sopraffaceva, avrei voluto la tua mano sulla mia fronte. Eri forse a sfamare i tuoi figli più piccoli, che stavano morendo di fame? Stavi facendo piovere la manna su di loro?

NO! La tua assenza è ingiustificabile!

Ingiustificabile, nei capi di sterminio, nelle città distrutte, negli ospedali, nei tormenti dell’anima.

Non mi hai neanche gratificato di una fede incrollabile. Mostrati adesso, qui, affinché io non dubiti più della tua esistenza, che la mia ragione, m’induce a negare.

E se ancora ti ostini a rifiutarti e ancora mi condanni, sai che ti dico: Vai all’inferno!”