Trapani, le perplessità sulla "nuova" processione di Santu Patre

Una riflessione di Giovanni Cammareri, studioso delle tradizioni popolari

Trapani, le perplessità sulla

E’ notizia fresca quella di un incontro fra il comitato organizzatore delle festa di S. Francesco da Paola e l’Unione Maestranze, una sinergia che metterebbe a repentaglio quel poco che rimane delle tradizioni locali. 

La festa di san Francesco da Paola rientra nel novero da salvare, in un contesto dove l’identità cittadina è a pezzi. Solo quattro scampoli sparsi qua e là riescono ancora a rinfrescare i ricordi che non possono essere memoria non appartenendo alla collettività ma al singolo. 

Il legame fra questo assunto e la menzionata festa, praticamente ultimo baluardo della cultura religiosa popolare trapanese, dovrebbe apparire evidente. Ovviamente ai più sensibili e attenti alla tematica. La restante parte degli indigeni è libera di pensare alle farneticazioni gratis.

Ma ritorniamo all’incontro per così dire tecnico dell’altra mattina cui il direttivo dell’U.M. e non solo il presidente si sarebbero dimostrati pronti a mettere perfino mano a un itinerario che non gli compete. Tanto per cominciare, avete presente quando durante la processione si pone la vara col santo sul carrello? Bene, secondo indiscrezioni, tale operazione si sarebbe dovuta compiere non più nello slargo antistante la chiesa di S. Pietro, bensì in piazza Scarlatti: davanti la sede dell’Unione Maestranze ?. La situazione lascia spazio a troppe preoccupazioni. Vengono pure alla mente le polemiche dell’estate 2021, quando si parlò di presenze massoniche all’interno dell’Unione, lasciando alla Chiesa locale la facoltà di continuare a far spallucce. 

Poi ci sono i rimpianti per i pezzi (contenuti, valori, codici, estetica ecc.) che anno dopo anno sono stati gettati alle ortiche quali spazzatura.

Le cerimonie della Settimana Santa, insomma, erano diverse, nettamente contrapposte alla visione estremamente privatistica che il sodalizio ha di tale momento, non ultimo, lo sgretolamento dei riti quaresimali (scinnute), moltiplicati a dismisura e resi fruibili ad invito. Qui, lo scarica barile non ha mai permesso la piena individuazione dell’artefice della pensata. Pare comunque che l’overdose sia andata benissimo agli organizzatori che pur spiattellando ai quattro venti d’essere “i custodi della tradizione” si sono dimostrati ben lieti nell’alimentare per due anni consecutivi la mostruosità.

Quando poi sono arrivati i giorni delle processioni abbiamo assistito a piazze e via adiacenti svuotate e controllate. Per chi fosse corto di memoria, le prove generali avvennero nel 2019 quando ancora il Covid non esisteva. E’ stata quella la più alta (e bassa allo stesso tempo) negazione della quinta essenza della religiosità popolare in genere visto che certe manifestazioni avrebbero ragione d’esistere esattamente per la gente, il popolo, in una sola parola per la comunità, unica depositaria di tali espressioni.

Una festa senza l’afflato della gente non ha motivo d’esistere. Eppure, i pessimi esempi giungono ora alla locale festa di popolo per eccellenza, a quel Santu Patri che da secoli ha trovato e dato forza esattamente alla sua gente, di mare o di terra che fosse. 

Martedì scorso invece, pare sia stato emulato una specie di venerdì quaresimale. La presenza dei pochi amici degli amici, il cui filmato circola sui social, non si sa se per consolare o far provare invidia agli assenti, mostra una performance di cui forse si poteva fare a meno. Se il rischio contagi non permetteva la presenza dei fedeli in chiesa, bastavano poche persone affinché il simulacro potesse essere traferito dall’altare alla vara senza tanti fronzoli. Prove generali di futuro? Speriamo di no.

Nel frattempo, è andato dunque in onda l’incontro per così dire operativo giusto con chi da sempre è stato avvezzo ai massicci spiegamenti di Protezione Civile, Security e via discorrendo, allo scopo di allontanare il più possibile l’intralcio ritenuto più pernicioso: la gente! Sì, esattamente la gente, atteggiamento scaturito dalla distorta conoscenza del più elementare senso della festa, un’antitesi che oggi rischia seriamente di minacciare una vera devozione.

Il comitato organizzatore dei festeggiamenti, che per anni è andato avanti con forze e sacrifici propri, dovrebbe dunque farsi forza nell’ evitare scelte irresponsabili.

Mercoledì scorso intanto, quando la banda musicale ha eseguito in piazza ‘i marci’ Santu Patri, non è stato consentito l’ingresso in chiesa. Già, la pandemia, ci diranno ancora. Ma lo Stato d’emergenza non è finito il 31 marzo?

Personalmente ho fatto parte delle ottocentomila persone di media al giorno che per otto giorni, schiacciate come sardine, hanno assistito a Siviglia alla Settimana Santa. Restrizioni zero e due le cose: o nei prossimi giorni sentiremo parlare di un’ecatombe senza precedenti, o da noi continuano a narrarci stupidaggini.

E intanto, visto che per il giorno della processione si paventa l’emarginazione della gente, diventano spontanei i quesiti: ma che senso ha fare la processione? Per chi uscirà, san Francesco da Paola?

Ecco allora che una e una sola potrebbe essere la coraggiosa risposta del comitato, un forte segnale; altro che essere costretti a chiedere rinforzi e conforto presso i professionisti dei distanziamenti culturali, avviando semmai il declino.

Una festa è autenticamente tale se non ci sono ottemperanze e controlli ossessivi, se vi è leggerezza, gioia e spensieratezza nel parteciparvi. D’avanti a limiti, condizioni e condizionamenti diventa decisamente altro: umiliazione, sottomissione, pesantezza, frustrazione, rabbia.

Vengo perciò alla coraggiosa risposta: tante grazie lo stesso, ci riproveremo il prossimo anno e… viva S. Francesco di Paola, viva!