Il suicidio di Moussa Balde e la negazione dei diritti nei Cpr

Il suicidio di Moussa Balde e la negazione dei diritti nei Cpr

Pestato, lasciato a terra e poi infine morto impiccato nella sua stanza del Cpr di cosrso Brunelleschi a Torino. Dietro il sorriso di Moussa Balde si nascondono i sogni e i progetti di un giovane di 23 anni  abbandonato senza alcuna assistenza, come un rifiuto. La sua morte svela l'altro volto dei centri di permanenza per il rimpatrio. Aveva 23 anni Moussa, ed era giunto in Italia dalla Libia nel 2016 dopo essere fuggito dal suo Paese, la Guinea. Sognava di proseguire gli studi e trovare un lavoro. Aveva il permesso di soggiorno scaduto ed un decreto di espulsione pronto. Dopo la brutale aggressione, avvenuta a Ventimiglia, era stato ricoverato in ospedale e poi, una volta dimesso, trasferito al Cpr e messo in isolamento. La sua storia riapre il dibattito sulle condizioni di vita dei migranti nei centri di permanenza ed espulsione. 

Sono cinque le persone morte negli ultimi due anni nei Cpr sottolinea il rapporto del Garante Mauro Palma del 12 aprile 2021, al quale il ministero ha risposto che saranno adottate iniziative per un “miglioramento delle condizioni di vivibilità e rispetto dei diritti umani”. “Oggi i Cpr sono luoghi vuoti e sordi. Vuoti di tutto, di materiali, di qualsiasi attività. Sordi perché isolati dalla società civile” , si legge nel rapporto. A differenza delle carceri, i centri non sono pensati per ospitare persone per lunghi periodi di tempo. Mancano le aree dedicate alla cura personale e alla vita spirituale, così come qualsiasi attività ricreativa o formativa. Secondo il Ministero dell’Interno, la colpa di queste mancanze sarebbe da imputare ai migranti e alla loro “carenza di interesse alla partecipazione in attività di qualsiasi genere”. 

"Nei centri - scrive ancora Mauro De Palma - la privacy dei migranti non è rispettata, i bagni per esempio non sono provvisti di porte, la polizia è presente durante le visite mediche, non è garantita la possibilità di ricevere materiale per scrivere, elementi di arredo, gli spazi dedicati all’attività fisica o gli spazi condivisi sono chiusi o non funzionanti, le strutture sanitarie non funzionano o non sono in condizioni accettabili, il riscaldamento non funziona, i telefoni sono sequestrati"

Che la morte di Musa riaccenda i riflettori su quanto accade all'interno di questi centri dove centinaia di persone si trovano rinchiuse, senza poter avere contatti con l'esterno e abbandonati senza alcuna assistenza. 

Il suicidio di Moussa Balde e la negazione dei diritti nei Cpr