Il cavallo a dondolo

Il cavallo a dondolo

di Jo March

Ora vivo in soffitta e, devo dire che ci sto bene; ho tanti amici con cui trascorro le giornate, parlando e ricordando i tempi andati. Ognuno di noi ha una storia da raccontare triste o divertente e a tutti piace ascoltarle, anche più di una volta, perché ad ogni ripetizione, qualcosa si aggiunge a far più ricca la narrazione.

Nessuno di noi ha più la bellezza e lo splendore della gioventù: al comodino rococò manca una gamba e il cassetto non chiude bene, il tamburo ha uno strappo nel timpano, all’orso polare manca un occhio e la sua pelliccia è ingiallita e tarlata.

A volte, però, nelle giornate grigie, quando solo un filo di luce penetra dalle fessure del tetto e i gelidi spifferi della tramontana si insinuano nella mia criniera, una coltre di nostalgia mi avvolge, e mi ricordo di Lei…

Nella vetrina del giocattolaio, mi mostravo regale ed orgoglioso. La mia criniera scura era di vero crine, i miei zoccoli d’ebano lucente, il mio mantello baio a tre balzane, lustro come le castagne novelle. Sì ero proprio un magnifico balzano a tre, cavallo da re. Solo la mia zampa rampante, che non poggiava sul sostegno a dondolo, era priva della balza sopra lo zoccolo.

Lei, veniva ogni giorno ad ammirarmi, col naso schiacciato sulla vetrina, la boccuccia socchiusa e gli occhi … occhi sognanti. Restava a lungo ed io la osservavo: era bellissima ma povera. Lo capivo dal suo abituccio sbiadito, dalla sciarpa, che indossava d’inverno, senza cappotto. Eravamo innamorati l’uno dell’altro ed io aspettavo ogni giorno di rivederla. Temevo che da un momento all’altro, qualcuno potesse comprarmi e portarmi via dalla vetrina. Sapevamo entrambi, che non ci saremmo, mai appartenuti: lei troppo povera, per acquistarmi, io troppo costoso per le sue possibilità.

Un mattino, mentre il commesso del negozio sistemava la vetrina, cadde rovinosamente e mi finì addosso, spezzando la mia zampa rampante. Ero finito: nessuno mi avrebbe mai acquistato in quelle condizioni. Venni trascinato fuori dalla vista dei passanti e trasferito nel retrobottega, con tutti gli scarti, tra scatoloni vuoti e polvere. Lei non vedendomi più, trovò il coraggio di entrare e chiedere al proprietario del negozio se qualcuno mi avesse acquistato.

“S’è rotto, ormai non lo vorrebbe nessuno. Lo do via per poco, se ti interessa”.

In un angolo del magazzino, tra i giocattoli di scarto, mi ritrovò. Io provai vergogna per lo stato in cui ero ridotto, coperto di polvere, deturpato, avvilito.

Mi guardò addolorata e mi accarezzò la criniera: avrei pianto se non fossi stato di legno. Ma, quella fu l’occasione per cui lei poté acquistarmi per pochi soldi.

Anche se privo di una zampa, riuscivo a dondolarmi sulla base arcuata e Lei, con cautela, montava in sella e, via. La mente correva per sentieri lontani, per spiagge assolate, verso avventure fantastiche. Abbracciata al mio collo mi sussurrava all’orecchio: “Op cavallino corri, sei bellissimo!”

Poi è andata via, non riusciva più a sognare. Ed io, invece, mi struggo, ancora, della sua voce, della sua mano e, quando la tramontana fischia alle mie orecchie, è la sua voce che torna a dirmi: “Sei bellissimo”.