Trapani, Viale delle Sirene e la democrazia partecipata

Ci scrive la professoressa Elisa Cavasino, associata di Diritto Costituzionale all'università di Palermo

Trapani, Viale delle Sirene e la democrazia partecipata

Gentile Direttore,

mi ha molto colpito un servizio del vostro Telegiornale di ieri in cui mettevate a confronto le posizioni assunte dai residenti di Viale delle Sirene e dal Sindaco del Comune di Trapani relativo alla decisione di quest’ultimo di accogliere la proposta dell’Assessora D’Alì sulla modifica alla toponomastica di uno dei più belli (e purtroppo trascurati, ahimè, quanto a decoro urbano) Viali della mia Città natale: uno dei miei luoghi dell’anima, in cui appena torno a Trapani vado a rifugiarmi.

Viale Elda Pucci o Viale delle Sirene? Oppure “Viale Elda Pucci, già Viale delle Sirene”, con il “QR code” come ci ha detto il Sindaco, è la stessa cosa?

No che non lo è, altrimenti non avrebbe neppure senso denominare in modo differente le vie di una Città.

La toponomastica, infatti, non ha soltanto una “funzione pratica, volta ad assicurare la formale individuazione dei nomi di luogo”, ma ne ha anche (e direi soprattutto) una “comunicativa e simbolica, tesa a valorizzare nelle denominazioni le tradizioni storiche del territorio e della comunità che in quei luoghi vive, garantendone la continuità del patrimonio culturale e linguistico”.

Questo è ciò che ci consegna la giurisprudenza della Corte costituzionale, chiamata a decidere una questione relativa alla toponomastica, in un'altra Regione a statuto autonomo, il Trentino Alto Adige, in cui si voleva indicare la denominazione di un Comune omettendo l’italiano, onde evitare “una forzosa italianizzazione di un toponimo storicamente e tradizionalmente radicato sul territorio”, al fine di valorizzare il toponimo di lingua “ladina”, una delle lingue delle minoranze linguistiche di quella Regione.

Quel caso, per molti aspetti, è diverso dal “nostro”, ma il principio sul quale si fonda la decisione della Corte costituzionale è estensibile a quello di cui stiamo discutendo: in quel caso si affermò, con la sentenza n. 210 del 2018, che bisognava trovare un punto di equilibrio fra il “primato” della lingua italiana e la tutela delle minoranze linguistiche.

Denominare un Viale del centro storico di una Città in un modo o in un altro non è la stessa cosa. È una decisione che, soprattutto in un quartiere in cui è fortissimo il senso di appartenenza ad una micro-comunità, dovrebbe costituire un esercizio di democrazia autenticamente partecipativa, per trovare un punto di equilibrio fra tradizione, presente e futuro di una comunità: la denominazione di un luogo è un simbolo, un segno fortemente identitario.

Considero Elda Pucci una figura meritevole di aver dedicato un luogo splendido come Viale delle Sirene che, lo ripeto, è uno dei luoghi che mi è più caro al mondo.

Vorrei che tutti i Trapanesi d’origine e d’elezione coloro che effettivamente “vivono” quel luogo fossero coinvolti e comprendessero l’importanza dell’opportunità di una tale decisione.

Fa male alla memoria di Elda Pucci (e a me, per ciò che rileva) che chi vi risiede e chi, come me, pratica il più possibile quello scorcio di Trapani, si trovi davanti alla “decisione” di denominarlo “già Viale delle Sirene” ed, ora “Viale Elda Pucci” senza averne condiviso la ragione, come pure che il Sindaco di Trapani e la sua Giunta non riesca a proporre e, dunque, a condividere, una strategia di valorizzazione della tradizione politica e culturale della nostra Città alla “sua” comunità.

Palermo, 11 maggio 2021

Elisa Cavasino