Dalle tre alle sei

Dalle tre alle sei

di Jo March

Era giunta al posteggio, quando il cellulare l’avvisò di un messaggio in arrivo: “A causa di impegni imprevisti, il dottore ha rimandato il suo appuntamento dalle quindici alle diciotto di oggi”.

L’ansia, che l’aveva tenuta stretta alla gola per tutta la settimana, le fece quasi cedere le ginocchia. Si appoggiò al tetto della macchina per non cadere. ERA MALATA, LO SAPEVA, LO SENTIVA, aspettava solo la sentenza per dire addio alla vita. Era capitato anche a lei? Il cancro tanto temuto e da sempre l’aveva colpita? Quanto tempo le restava?

Tre ore di vuoto, di paura, cosa farò? Aveva trascorso giorni sospesi senza sapere se ancora poteva fare progetti per il futuro, se sarebbe stata ancora viva il prossimo Natale.

Cominciò lentamente a camminare senza meta, i suoi passi sul marciapiedi sfogliavano la margherita: vivrò? Morirò? Prima, durante le sue passeggiate, il suo interesse era volto a farsi guardare, era bella, accoglieva l’interesse delle donne e l’ammirazione degli uomini come un . omaggio dovuto. Ora invece, per distrarsi dal pensiero che la tormentava si impegnò ad essere lei quella che osservava. Le persone che le passavano accanto, adesso avevano in viso, un’espressione che manifestava il loro sentire, vi si leggeva tristezza, impazienza, allegria, preoccupazione, rabbia o indifferenza.

Dunque, esisteva un mondo, una realtà al di fuori dei suoi egoismi, una realtà che la ignorava, che non sapeva, che sicuramente non voleva sapere niente di lei e dei suoi tormenti. Lei sarebbe scomparsa senza lasciare tracce della sua esistenza.

Camminava da un’ora quando, stanca, trovò posto al tavolino di un caffè all’aperto. Il pomeriggio autunnale era tiepido e l’aria era dolce. Forse non vivrò più un pomeriggio così bello, si disse, e al cameriere ordinò the e tartine. Mentre sorseggiava il suo the con lo sguardo perso, un vecchio signore inciampò e stava per caderle addosso, Marianna stese il braccio a frenare la caduta. L’uomo la guardò e sorrise, poi sedette al suo tavolo, nella sedia vuota di fronte a lei: “Mi scusi sono un po’ maldestro ma, sa, ho quasi novant’anni. Però mi sento come se ne avessi dieci, o forse meno, perché quello che conta di questi novant’anni, sono attimi, sono momenti in cui posso dire d’aver assaporato la vita; il resto mi ha attraversato senza lasciare traccia. Lei mi pare stia vivendo momenti d’attesa. Aspetta qualcuno, qualcosa?

Inaspettatamente Marianna, con impeto, davanti all’uomo, cominciò a parlare e tutto il peso del suo tormento lo confidò a quello sconosciuto, il primo che le aveva mostrato considerazione. Nessuno nella cerchia dei familiari e degli amici sapeva il suo problema. Aveva cercato le parole per parlarne, ma ogni volta il suo bisogno era stato zittito con una valanga di richieste, lamentele contrarietà, che ognuno aveva voluto rivelarle, e lei aveva taciuto.

“Non so come farò ad affrontare il responso del medico”, disse infine.

“Ti accompagno”, disse il vecchio e sottobraccio si avviarono.

Tremava Marianna stringendo la mano dell’uomo mentre il medico la rassicurava: “Abbiamo potuto escludere dagli esami, che lei sia affetta da alcun tipo di tumore, lei signora è sana come un pesce e l’aspettano lunghi giorni di buona salute”.

Insieme ridendo scesero le scale, Marianna era posseduta da una folle gioia saltò giù dal marciapiedi facendo una piroetta e …. non si accorse dell’auto che giungeva a velocità. L’impatto fu tremendo e la donna rimase esanime sull’asfalto.

Il vecchio accorse accanto a lei e le sollevò il capo. Perdeva sangue da un orecchio e lui le sussurrò parole di affetto. Marianna con un filo di voce disse: “ Non perderò questa battaglia, la morte non mi avrà tutta, desidero donare i miei organi, tutti, in modo che io e non io solo io sconfiggerò la morte”.