Strage di Pizzolungo, il ricordo di chi c'era ma avrebbe preferito non esserci

Wolly Cammareri racconta quella tragica mattina

Strage di Pizzolungo, il ricordo di chi c'era ma avrebbe preferito non esserci

Io c’ero quel 2 di aprile del 1985.

Mancavano 13 giorni al mio matrimonio, fra gli invitati c’erano anche Nunzio Asta, la moglie Barbara Rizzo e i loro tre figli.
Quella mattina, come ero solito fare, ero passato a prendere il caffè da mio padre che aveva un chiosco di tabacchi sul marciapiedi dello stadio Provinciale: erano le otto del mattino, ancora troppo presto per raggiungere gli studi di RTC a Nubia. Improvvisamente, mentre gustavo il mio caffè, un boato mi fece saltare in aria: era un boato più forte del solito perchè, ai boati, in quella zona eravamo abituati in quanto alle spalle dell’ex ospedale psichiatrico c’era una cava e usavano esplosivi per spaccare la roccia. Ma quella mattina, il boato era molto più forte e non arrivava dalla cava.
Passarono alcuni minuti e dal vicino ospedale Sant Antonio Abbate uscivano ambulanze una dietro l’altra, direzione Pizzolungo. Salutai velocemente mio padre e seguii il tragitto delle ambulanze, appena raggiunta la stele di Anchise vidi che si levava una colonna di fumo e dietro, purtroppo, l’apocalisse.
Il primo impatto è con l’avantreno di un’auto, le due ruote anteriori ancora attaccate al semiasse posizionate davanti al cancello del ristorante l’Approdo. Chiedo cosa fosse successo e, dalle prime notizie, emerge che si trattava di un attentato dinamitardo all’auto del giudice Carlo Palermo e alla sua scorta. Riuscii ad entrare nell’area dell’esplosione dove si era creato un vero cratere, area oggi individuata con una stele che ricorda le vittime innocenti di quella strage: una madre e i suoi due gemellini che, a bordo di una piccola utilitaria hanno fatto da schermo all’auto blindata del magistrato.
Chiesi alla direzione dell’Hotel Tirreno di poter usare il loro telefono e mi misi in contatto con la sede dell’emittente RTC per la quale lavoravo: a quei tempi, per RTC non mi occupavo di redazione giornalistica ma ero il direttore della programmazione. In redazione era appena arrivato un giovane e inesperto praticante, era Giacomo Pilati; lo convinsi ad andare in diretta fornendo le notizie che riuscivo a fargli avere telefonicamente. Giusto il tempo di organizzarci e sul luogo arrivarono I colleghi della redazione con l’operatore di ripresa, erano altri tempi e non era ancora possible attivare ponti per la diretta. Ma trovammo la soluzione: la mia moto, le cassette dei registratori portatili avevano una durata di tempo di 20 minuti, proprio quello che impiegavo a velocità sosostenute per coprire il tragitto percorso almeno una ventina di volte.


Strage di Pizzolungo, il ricordo di chi c'era ma avrebbe preferito non esserci

Sono passati quasi 37 anni da quel giorno. Quella strada la avrò percorsa un migliaio di volte ma c’è qualcosa che, ad ogni passaggio, vedo stampata nella mia mente: un’immagine che per qualche tempo rimase impressa sulla parete di una abitazione nei pressi dell’esplosione, era il sangue schizzato dal corpicino di uno dei gemellini, proprio uno di quella famiglia che appena qualche giorno dopo avrebbe dovuto festeggiare con me il giorno del mio matrimonio.

Era il due aprile del 1985.
Io c’ero, quel giorno, ma avrei preferito non esserci.

Strage di Pizzolungo, il ricordo di chi c'era ma avrebbe preferito non esserci