La bohéme di Puccini in una chiave interpretativa del tutto originale

La bohéme di Puccini in una chiave interpretativa del tutto originale

Sebbene La bohème di Giacomo Puccini di per sé è un’opera straordinaria che ha sempre fatto breccia nei cuori di pubblico e critica, quella messa in scena al Teatro Vittoria di Roma da Altra Scienza e realizzata dal regista Giancarlo Nicoletti non è da meno.

In una chiave interpretativa originale, catapultati in un periodo bohème dei giorni nostri, gli spettatori sin da subito si trovano a vivere le peripezie di quattro amici. Rodolfo, Marcello, Schaunard e Colline, ancora procrastinanti in un’eterna giovinezza con fare spensierato si ritrovato a dover affrontare le responsabilità e le dure realtà del mondo adulto.

Altro aspetto innovativo dell’opera è la musica suonata dal noto pianista a livello nazionale Umberto Cipolla. Gli spartiti dell’opera originale erano suonati da un organico orchestrale. La scelta di mantenere l’integralità del prodotto di Puccini è un segno lampante di un’opera universale e versatile con un linguaggio senza tempo.

Le tende rosse del sipario si aprano con il primo quadro dall’impatto scenico che porta la firma di Alessandro Chiti. Immersi nella Parigi dell’800 ci troviamo nella fredda soffitta in cui vivono i quattro artisti. Nella prima scena troviamo il poeta Rodolfo, interpretato dal tenore Joseph Dahdah e il baritono Vladimir Jindra nelle vesti del pittore Marcello. I due artisti bohème vivendo di stenti, infatti, in mancanza di legna cercano di accendere il fuoco con il dramma del poeta. Da lì a poco quel dramma che riscaldava la sera della Vigilia di Natale, avrebbe riscaldato le loro vite con alcune sciagure e peripezie.

Entra in scena Colline, il filosofo del gruppo, messo in scena dal basso Ivan Caminiti. Amareggiato dalla mancanza di denaro e dall’ennesimo rifiuto della sua richiesta di prestito, si lascia trasportare dalle sue moine condividendole con i suoi amici. Improvvisamente, a portare una sana allegria spumeggiante è Schaunard, il musicista del quartetto, interpretato dal baritono Vittorio Ferlan Dellorco, che con entusiasmo prorompe nella scena con il suo atteggiamento spavaldo ed enfatico. Il suo estro quella sera è ancora più ricco di pathos dato che è riuscito a guadagnare anche un po’ di denaro.

Tuttavia, gli schiamazzi vinosi vengono interrotti dal basso Martin Kurek, nelle vesti del padrone di casa Benoit. Con colpi insistenti bussa alla porta pretenzioso e impaziente di riscuotere l’affitto. Presi dal panico per le tasche vuote, escogitano dei trabocchetti da esperti truffatori.

Infatti, i quattro amici con sotterfugi da veri persuasori, più abili e ingannevoli di una volpe, riescono a sviare l’uomo e a scampare il pagamento. Presi dall’euforia della riuscita dei loro intenti, decidono di andare a brindare ai loro talenti.

Rodolfo decide di tardare il brindisi, a causa di un’imminente consegna da rispettare. Nuovamente picchiettano alla porta, ma non tutti gli ospiti inattesi sono sgraditi come il padrone di casa. Infatti, questa volta a bussare è la vicina di casa Mimì, rappresentata da soprano Flavia Colagioia, che con una sciocca scusa cerca di conoscere il poeta. Tra timidi imbarazzi e desideri incontrollati, scoppia improvvisamente l’amore tra i due personaggi.

Sarà proprio la loro storia di amore il vero fulcro dell’opera. Un amore tuttavia dannato, poiché la ragazza è gravemente malata.

Come ha sottolineato nella nostra intervista Vittorio Ferlan Dellorco «si passa dai primi atti dell’opera che sono estremamente divertenti, pieni di scherzi e coreografie particolari dentro i locali e per le strade di Parigi, e poi questo amore – che diventa sempre più problematico, simili alle relazioni semitossiche – declina in un finale abbastanza drammatico ed emotivo».

Un vero climax tragico-comico porta gli spettatori a vivere e condividere le gioie e i dolori della fiamma del primo amore. Così puro e pieno di trasporto, tuttavia, lacerato e lentamente spento dalle gelosie e incomprensioni.

Seppur in secondo piano, il medesimo amore tormentato lo vive il pittore Marcello con l’emancipata Musetta. Il soprano Giorgia Costantino nelle sue vesti lascia il segno con la sua presenza scenica che incalza perfettamente il carattere del personaggio: una donna consapevole di poter ottenere ciò che desidera.

L’intera opera «racchiude tantissime sfumature della gioventù secondo Puccini. Con quest’opera saluta definitivamente la sua giovinezza ed entra nella piena maturità anche come autore».

Seppur rispettando l’opera e mantenendo l’integralità di essa, come conferma anche Dellorco il regista e la direzione musicale Amelia Felle «hanno cercato di togliere lo smalto originale che mette in scena il dramma che viene vissuto alla fine». Infatti, come appare evidente nel susseguirsi dei vari quadri dell’opera, la vena vivace e spumeggiante si alterna a quella tragica e sofferente.

Dunque, si è cercato di creare «un’atmosfera un può rarefatta che non fosse né ambientata nell’800 né in chiave moderna, ma con i costumi di Vincenzo Napolitano potremmo dire che sia a cavallo tra gli anni 30’ e 50’». Tuttavia, «mantenendo quella eternità che già essa possiede» conclude Dellorco.

Senza dubbio un’interpretazione da un bagaglio emotivo importante.

Nell’ultima scena, indubbiamente la più drammatica, in cui la povera e graziata Mimì come un fragile uccellino colpito dal freddo si sta spegnendo attorno al calore dei suoi amici. Ormai la malattia ha avuto il sopravvento su di lei e l’ultimo desiderio che le resta è quello di riabbracciare per l’ultima volta Rodolfo.

I bohème devastati ma ancora con un barlume di speranza tentano in tutti i modi di aiutarla per salvarla. Tuttavia, per Mimì non c’è nulla da fare.

La figura protagonista, in questa scena, è il musicista Schaunard. Infatti, è proprio in questo momento che il personaggio svela le sue più intime fragilità. Ormai abituati a vederlo come il burlone del gruppo, la così detta anima della festa, in quel momento si lascia andare alla frustrazione determinata dall’impotenza dinanzi alla morte.

Schaunard è il primo ad accorgersi dell’ultimo ispiro di Mimì. Con le lacrime agli occhi si conclude l’opera che in un paio d’ore lascia al pubblico la soddisfazione di aver vissuto insieme ai personaggi sentimenti profondi e veri, quasi reali.

 

La bohéme di Puccini in una chiave interpretativa del tutto originale