La cucina araba in Sicilia

Le tracce lasciate dagli arabi nelle abitudini gastronomiche dei siciliani

La cucina araba in Sicilia

Gli arabi portarono una rivoluzione nelle abitudini alimentari dei siciliani e i sapori delle corti saracene si ritrovano ancora in tantissime pietanze.

I prodotti alimentari importati dagli arabi furono molteplici: dal pistacchio agli agrumi, dalla mandorla alla canna da zucchero; lo zibibbo, un vitigno che veniva da Cap Zebib in Tunisia, i cetrioli, le melanzane, gli asparagi e le carrube.

Gli arabi furono i maestri dell’arte molitoria creando la semola di grano duro, base del cous cous, che era il loro nutrimento principale. Originariamente condito con brodo di carne di montone, in Sicilia venne realizzato con il pesce, proprio perché quest’ultimo era l’ingrediente più facilmente reperibile.

Anche l’arancina è stata importata dagli arabi, che erano soliti mangiare riso allo zafferano condito con erbe e carne. L’invenzione della panatura è attribuita invece alla corte di Federico II e nacque possibilmente con lo scopo di proteggere le palline di riso e poterle trasportare nei viaggi o nelle battute di caccia.

La caponata deriva da un piatto a base di peperoni e melanzane condito con olio di sesamo e spezie, chiamato “Katayef” e infine fu un cuoco arabo ad inventare la ricetta della pasta con le sarde.

Si narra infatti di un evento accaduto durante una campagna militare guidata dal generale Eufemio. Le truppe si trovarono ad avere pochissimi viveri e con questi il cuoco, costretto a sfamare i soldati, preparò un piatto prelibato utilizzando le sarde che non erano proprio fresche, i finocchietti selvatici, che servivano a smorzarne il tanfo, i pinoli, conosciuti come antidoto e lo zafferano.

Ma gli arabi sono stati eccellenti soprattutto nella pasticceria.

Hanno realizzato una varietà di dolci in cui vi si trova almeno uno degli ingredienti seguenti: miele, ricotta, mandorle e pistacchio: le sfinci, le morbide frittelle condite col miele, dal nome arabo “isfang” (letteralmente spugne), la cubbaita, dall’arabo “qubbiat” che significa mandorlato, il sorbetto “ sciarbat” da “gebel” che in arabo ignifica montagna perché veniva congelato con la neve delle montagne,  il cannolo.

Anche se esisteva già in Sicilia un antenato del cannolo, del quale fa menzione Cicerone, il cui ripieno era una morbida crema di latte, la leggenda narra che ad inventare il dolce così come lo mangiamo oggi, fu la favorita dell’emiro di Caltanissetta. La donna, sperimentando prelibatezze che potessero incontrare il gusto del sultano, inventò il guscio di pasta ripieno di ricotta, mandorle e miele.

Con l’arrivo dei Normanni, gli harem si svuotarono e alcune delle concubine si convertirono al cattolicesimo ed entrarono in convento dove portarono le loro   ricette, compresa quella del cannolo. 

Sempre al periodo della dominazione araba in Sicilia risale l’invenzione della cassata. Secondo la tradizione, un pastore mescolò casualmente la ricotta con lo zucchero, ricavandone una dolcissima crema che chiamò “quas’at”, che significa bacinella, cioè la ciotola in cui aveva mescolato gli ingredienti. La notizia giunse alla corte dell’emiro a Palermo e lì i cuochi decisero di utilizzare la crema avvolgendola in una sfoglia di pasta frolla. Poi il dolce fu modificato in epoca normanna e nei secoli successivi fino a giungere alla versione che conosciamo, una magnifica sinfonia di colori e sapori.

Ma l’invenzione araba che fece assaggiare ai siciliani il primo caffè, fu una bevanda che ne rappresenta sicuramente l’antenato, il “qawah”, che gli arabi preparavano mettendo a bollire acqua, zucchero e caffè in un pentolinochiamato “ibrik”. Quando la polvere si depositava sul fondo, aggiungevano le spezie e gustavano la bevanda calda.

Josepha Billardello