Un libro difficile, scritto da sinistra per parlare di fatti di destra

L'avvocato Nino Marino e la sua fatica letteraria non ancora data alle stampe

Un libro difficile, scritto da sinistra per parlare di fatti di destra

PRIMA PARTE

ANNUNCIO UN LIBRO DIFFICILE

 Da quasi due anni ho finito  di scrivere un libro: “1933-1943 -1963  TRAPANI MODERATA -  DA GAETANO MESSINA A DINO GRAMMATICO  - TRENT’ANNI DI STORIA ITALIANA”

Il libro porta la prefazione, garbatamente critica e dissenziente, dell’On..Michele Rallo.

Ed infatti è un libro scritto da  sinistra.

Si tratta di una serie di schizzi, accenni, molecole biografiche e politiche di due Personalità eminenti della storia della nostra città e della Sicilia: Gaetano “Tano” Messina, storico Federale del Partito Nazionale Fascista in Trapani dal 1933 al 1940 e, nel dopoguerra repubblicano, dirigente fra i massimi della Sicindustria  di Mimì La  Cavera e dell’Istituto della Vite e del Vino. E di Cataldo “Dino” Grammatico, umanista e poeta, storico dirigente del Movimento Sociale Italiano di Trapani e della Sicilia, nonché Sindaco di Custonaci e Assessore Regionale.

Il libro -il testo del libro- ebbe ed ha il consenso dei Famigliari delle due personalità, la Professoressa Angela Grammatico, l’Avvocato e la Dottoressa Rosario e Caterina Messina.

Dovrebbe trattarsi, avvicinandomi al limitar di Dite  (e beneauguranti corna facendo) del mio congedo dalla penna e dal dizionario.

Riassumo quelli che m’appaiono i tratti tipici della cultura e della prassi dei Due: postularono, con la loro azione, una borghesia imprenditoriale, professionale e commerciale moderna. Autonoma. E perciò antimafiosa.

Ed effettivamente e concretamente i Due combatterono la mafia, Ed i mafiosi, ça va sans dire.

Del resto dei Due mi ero occupato, per ancor più brevi accenni, in due altri miei libri, quello su Simone Gatto e quello sulle lotte contadine nella nostra provincia.

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Colpevoli ed ingrati ritardi e pasticci tipografici ed editoriali di una stampatrice cui mi ero rivolto mi portarono col <libro nel cassetto> fino a quest’estate. Quando  -ma perché non ci pensai prima?- mi rivolsi al colto, attento ed accreditato “Pozzo di Giacobbe”  col quale concordai la stampa e l’edizione tra la fine di gennaio e la metà di febbraio  prossimi.

Ma i cosi ‘un sunnu finuti Vengo a sapere in questi giorni che nelle vicine elezioni comunali di Trapani, sarà presente un forte, significativo ed espressivo Candidato dell’estrema destra.

Sicché la quasi contemporanea pubblicazione del mio libro sul fascismo trapanese potrebbe crearmi qualche spiacevole equivoco.

E quindi a settembre. Chiedo scusa ai Famigliari, agli amici che aspettano il libro, alla mia penna ed al mio dizionario.

Intanto, dal prossimo numero ve ne farò leggere un’anticipazione.

 

 

SECONDA PARTE

GALATEA PALAMAR

LA BORGHESIA CHE NON CI FU E CHE MESSINA E GRAMMATICO VOLEVANO

ES GIBT AUCH ANDERSA (POTEVA ANDAR DIVERSAMENTE)

 

 

Concedete uno spazio alla mia immaginazione. Benché inventata in un eccesso di fantasia di questo cuntastorie, Galatea Palamar è un personaggio invece necessario a far intendere il racconto di quella Trapani che fu.

Una <borghese>

E, necessaria essendo, la cercai. Anzi, arrivai a credere di averla individuata, le chiesi un appuntamento che cortesemente mi diede. Altrettanto cortesemente mi ricevette con un profumato tè.

Le spiegai cosa volevo scrivere  (ma non le accennai né a Messina né a Grammatico) e le proposi di raccontarmi un pezzo importante della sua vita che qua e là in qualche modo conoscevo.

Ma, caro lettore e cara lettrice, non partecipate al giochino di indovinare chi sia Galatea.

Ché, avendola inventata io   -o inventato di averla inventata,  le potreste dare il nome di una ventina di donne reali.

E il risultato sarebbe l’assurdo che, se venti o trenta fossero state quelle con i mariti imprenditori avversi con fermi <no< alla mafia, la storia sarebbe stata diversa. Sarebbe andata diversamente, -es gibt auch anders- come scriveva il, mio compagno Brecht.

Esitò, Galatea, capì, in qualche modo forse ne fu lusingata; in qualche modo forse pensò alle spine che sarebbero spuntate dalla durezza dei ricordi ed in qualche modo quindi mi lasciò senza risposte, senza raccontarmi nulla.

La ringraziai tuttavia. E mi dissi: <tanto non ti lascio; ti invento>.

Ti invento, fino a slabbrare i confini della storia reale per farla combaciare con quella possibile, ad immaginare che poteva andar diversamente ed invece diversamente non andò.

Del resto questo pezzo di borghesia, cui faccio indossare le eleganti  -e sobrie-  vesti di Galatea, fu da un certo punto in poi storicamente così improbabile, marginale, debole, che la sua effettiva e storica fisicità può soltanto  immaginarsi.

 

TERZA PARTE

°Io credo di conoscerla, signora Palamar, lei fu questa Trapani che poteva esserci, il rimorso secco ed amaro di una città che non seppe meritarla>

** Si, capisco il suo punto di vista ed il suo scopo. Ma io non sono la persona adatta, ho quasi nulla da dirle. Ho vissuto quasi appartata, nonostante gli impegni di mio marito.**

Ne era da tempo vedova.

** Oh**  continuò smentendosi ma dicendomi che proprio non voleva discuterne-  **oh, se questo è il suo tema, allora sì che ne avremmo parole per divertirci …**

Con una risata fresca, di gola, larga e divertita mi congedò e sostanzialmente di disse:

** scrivilo il tuo libro, hai preso la strada giusta. Inventami. Tanto le cose le sai.**

Ed eccomi a voi con le mie invenzioni. E, credo, alla fine la finzione risulterà più vera del racconto vero che avrei voluto ascoltare.

** Vissi appartata** Mi dice la mia immaginata Galatea, **per gusto, per scelta, per supponenza, faccia lei. Non credo però di essere stata antipatica.

** Certo, avevo le mie amicizie,  visitavo e ricevevo; non molte persone, mai carte o canaste, erano cicalecci che mi annoiavano. Qualche taglio ai capelli  quando veniva Vergottini? Certo!**

Gli anni erano quelli là, i cinquanta i sessanta …

** Si, parlavamo spesso il dialetto, eravamo spontanei, trapanese sono. Ma pensavamo in italiano.

** La mia famiglia d’origine era medio borghese. Qualche discreto cespite. Sposai presto; mio marito era un imprenditore, scendeva da imprenditori dei primi anni del Novecento. Le cose, capivo, gli andavano bene. Si stava nell’agio. Con compostezza, però, voglio dire.

** Egli non me le raccontava  le cose degli affari. So che andava d’accordo con gli operai, ne aveva una diecina, sempre gli stessi, non ne licenziò mai. Si teneva in stretta regola con salari e contributi.

** Lavorava nell’edilizia. c ‘era una gran richiesta. Si costruiva, si costruiva … sembrava la molla e la moltiplicazione della ricchezza ed invece … si, son d’accordo con lei, proprio da quel costruire e costruire venne il disastro. La nostra emarginazione …

** Il Rotary? C’era la Trapani che contava ed un imprenditore di un certo livello non poteva fare  a meno di andarci. Con me. A me piaceva soprattutto perché mio marito doveva indossare  lo smoking che portava con noncurante eleganza…

** Ad Erice? Certamente! Luglio ed agosto, preferivamo non andare al mare, Avevamo una casetta nei pressi di San Giovanni.  Qualche volta al Ciclope: una sera venne il famoso sarto Schubert ed un’altra la bellissima ed elegante  Franca Bettoia…

** La Chiesa? Sono credente, ma senza affettate devozioni.

** Dopo il “fatto”, feci caso che alla Messa partecipavano anche loschi trafficanti attorno a mio marito ed un farabutto di direttore di banca con la sua compunta signora oberata da chili  di gioielli che quasi la facevano traballare e rovinare a terra.

** Ad un certo punto, lo seppi dopo, si fecero sotto, spuntarono altri soggetti. Mio marito non volle fare gli accordi che gli proponevano, non volle sottostare. Di questo si sarebbe trattato. Non so se per alterigia, non so se per senso morale, non so se per sottovalutazione. Ma, alla fine, fui probabilmente quest’ultima.

** Ma quelli erano forti.

** Un brutto giorno, di lunedì mattina, dopo aver preso un’inginocchiata Ostia alla Messa del giorno prima, un direttore di banca chiese a mio marito l’immediato rientro dalla sua esposizione, che non era cosa da quattro monete.

Il direttore sapeva benissimo che in qual determinato periodo  -come in ogni annata imprenditoriale e bancaria, gran liquidità mio marito non ne aveva. Sarebbe venuta, questo era certo, c’erano i contratti in corso, gli affari hanno le loro scadenze. E quel brutto giorno mio marito aveva interessanti affari già conclusi ed in corso di esecuzione. Tubi Innocenti, ruspe, cemento, geometri ed operai erano in tre diversi cantieri. Ma non erano ancora venuti a scadenza i pagamenti. Il direttore ne aveva tutte le carte ed i grossi  -ma ben forniti- debitori di mio marito avrebbero pagato con versamenti proprio in quella banca.

Ma il direttore fu irremovibile: rientro immediato. Sapeva il fatto suo che era il fatto di quelli che avevano proposto <accordi> a mio marito.

** Fosse andato da un <don> o da un <On,> forse mio marito la cosa l’avrebbe <aggiustata> Certo con qualche <ricambio>. Non volle. Comunque non lo fece.

** Venne il fallimento. Ed una breve carcerazione pure.

Mi continua l’immaginata Galatea: ** se mio marito avesse ceduto ad un <don> o ad un <on.> lei m’avrebbe messa in  un altro capitolo del suo libro, oppure non m’avrebbe cercata. Anzi, non m’avrebbe nemmeno inventata.

..--..

Fine  dell’immaginato racconto dell’immaginata Galatea.

Cosa ne faccio venire? Una tenue borghesia imprenditoriale, confinata ed impedita dalle quattro muraglie del malaffare, della pubblica e privata corruzione,  della mafia, del sistema bancario.

Sono le quattro muraglie che Messina e Grammatico volevano abbattere? Certo! Sono quelle.

L’ho teatralizzata con la mia Galatea proprio per farvi scendere negli anfratti della realtà quotidiana che i Due volevano cambiare, moderare, modernizzare.

E torno ora alle cose  non immaginate, vere. Ed  effettuali.