Roma, conosciamo alcuni trapanesi che si sono integrati nella Capitale/3

Serena Blunda, da Alcamo alla città "der Cuppolone"

Roma, conosciamo alcuni trapanesi che si sono integrati nella Capitale/3

In un momento in cui l’Italia sta ancora affrontando e combattendo il nemico globale comune, ad essere danneggiati delle dovute restrizioni sono molti settori. Da studentessa posso affermare con estrema convinzione che l’ambito universitario è uno dei settori che ne sta risentendo molto.
Gli studenti si ritrovano catapultati in un’università alternativa: la DAD per quanto possa essere un ausilio ha inevitabilmente limitato la formazione e la nostra personale preparazione. Tra le innumerevoli facoltà, ognuna penalizzata a suo modo, senza dubbio a fare più scalpore, per quanto sembri contradditorio, è quella che forma i nostri futuri medici. Parlando con alcuni studenti di medicina mi sono resa conto come loro più di altri siano stati svantaggiati e rallentati nella loro preparazione a causa delle lezioni da remoto.

Tra questi studenti c’è Serena Blunda, una ragazza nata ad Alcamo che da quattro anni, come molti giovani, ha deciso di lasciare la Sicilia per inseguire la sua grande passione, la medicina. Per intraprendere il lungo percorso formativo che antecede la professione di medico sceglie tra le tante città Roma, nella quale dopo aver sostenuto con successo il test si trasferisce. La sua passione per alcuni ambiti della medicina come neurologia inizia già durante il periodo liceale:  la filosofia aveva innescato in lei la curiosità verso il pensiero e successivamente la portò a chiedersi come funzionasse il nostro cervello. Da ciò nacque la passione per la psichiatria: per quanto erroneamente si possa pensare «in realtà i due ambiti sono molto legati tra loro in quanto i disturbi mentali nella maggior parte dei casi sono legati a fattori biologici».

Nel fiore dei suoi anni la sua audacia e la voglia di migliorare la spinse a pretendere di più da sé stessa. La sua esperienza nella capitale è al quanto soddisfacente, nonostante si trovi a molti chilometri di distanza dalla sua amata isola, gli anni trascorsi in una città così meravigliosa hanno reso anch’essa un luogo che lei chiama «casa».  Ma dopo quattro anni anche questo sembra non bastarle per aspirare ad una formazione migliore: il confronto con il mondo globalizzato diventa sempre più insopportabile e il divario di competenze e preparazione sempre più grande. La Facoltà di Medicina in Italia rispetto ad altri paesi è rinomata per un eccellente preparazione teorica. I nostri medici sono molto preparati dal punto di vista teorico, le nostre università dedicano sei anni per formare i futuri medici. Purtroppo la stessa cura e diligenza non si direbbe venga dedicata alla parte pratica. A Serena, come altri suoi colleghi, mancano un paio d’anni per concludere il proprio percorso e dopo quattro lunghi anni sui libri è riuscita a vivere l’ambiente ospedaliero soltanto per pochissimi giorni. Questo doveva essere l’anno della svolta, l’anno nel quale avrebbe finalmente iniziato il tirocinio, seppur per poche ore, ma la pandemia beffarda ha nuovamente voluto rimettere lo zampino impedendo a molti di loro di non provare l’emozione e la dura esperienza della vita in reparto. Purtroppo sicuramente le condizioni e le varie restrizioni hanno peggiorato una situazione già precaria in partenza, ma resta il fatto che molti studenti come Serena non ritengono di avere un’adeguata preparazione dal punto di vista pratico «per un medico sapere soltanto la teoria senza aver mai misurato neppure la pressione è impensabile».

Dopo i sei anni gli studenti si ritrovano a scegliere una specializzazione nella quale sono letteralmente catapultati in quella che per loro è una nuova realtà. Dunque il punto non è quale università scegliere tra le tante del paese, ma se la ricerca e la formazione dei nostri medici continuerà ad essere messa in secondo piano saremo sempre testimoni e complici della fuga dei nostri cervelli.