Ecco come agiva la "banda del bancomat"

A comandare erano i catanesi ma a pianificare in loco erano trapanesi e marsalesi

Ecco come agiva la

Un'alleanza nata in carcere, quella fra alcuni componenti della "banda del bancomat" smantellata l'altro ieri nell'ambito dell'operazione che ha messo in campo un ingente numero di uomini e mezzi.

Ad agire, come noto, erano tre gruppi fra trapanesi, marsalesi e catanesi con quest'ultimi professionisti della “spaccata”, così vengono chiamati in gergo i furti delle casseforti Atm con l'utilizzo di escavatori o materiale esplosivo. Erano i catanesi che pianificavano gli assalti ai bancomat in maniera doviziosa ma era grazie al supporto logistico delle bande alleate, le quali mettevano a disposizione uomini e mezzi per perpetrare i colpi ai danni di uffici postali e banche, che i colpi potevano essere portati a termine. 

L'articolata fisionomia del sodalizio, stando alle indagini, si può desumere dalla riproposizione del medesimo modus operandi che constava in queste fasi specifiche: 
- individuazione dell'istituto bancario
- i malviventi si appropriano di escavatori, rimorchi e automezzi rubandoli poco prima del furto o procurandoseli per altra via
- i mezzi venivano condotti presso l'istituto bancario dove l'escavatore, grazie a una manovra delicata, veniva scaricato dal rimorchio e posto davanti allo sportello bancomat
- il rimorchio e le autovetture venivano disposte in modo da ostacolare il traffico
- l'addetto allo scavatore, in tempi brevissimi, sradicava lo sportello bancomat riponendolo su un furgone cassonato
- i malviventi si danno alla fuga a bordo del furgone su cui è stato caricato lo sportello ATM abbandonando escavatore e rimorchio in loco
- lo sportello bancomat veniva condotto in un luogo appartato dove veniva forzato e svuotato
- i mezzi venivano abbandonati, così come lo stesso ATM.

A Trapani operavano Massimiliano Gaspare Salafia, Antonino Anselmo, Giuseppe Di Dio, Pietro Maisano, Rosario Maisano, Gaetano Barbera, Maria Barbera, Francesco Mancuso, Domenico Salvatore Zerilli.
A Catania, Andrea Tropea, Alessandro Valentino Longo, Concetto Mannuccia e Antonino Viglianesi.
A Marsala, Isidoro Salvatore Rallo, Bartolomeo Rallo, Vincenzo Fabio Licari, Aldo Cosimo Vinci, Fabrizio Stabile, Domenico Savalla,
Tutti accusati, a vario titolo, di associazione a delinquere, furto, danneggiamento aggravato e simulazione di reato. Cinque i “colpi” messi a segno: tre a Marsala, uno a Trapani e uno a Catania, per un bottino complessivo di 225 mila euro.

La provincia trapanese era del tutto nuova al fenomeno della “spaccata” che, invece, era una metodologia ricorrente nel territorio catanese dove, nel maggio del 2018, i carabinieri avevano disarticolato un sodalizio le cui modalità di azione erano del tutto similari a quelle poste in essere nel trapanese. Non a caso, infatti, Andrea Tropea e Luciano Viglianesi (defunto fratello di Antonino Viglianesi raggiunto da provvedimento in questa ultima operazione) erano stati arrestati in flagranza di reato (furto di sportelli bancomat)il 3 marzo di quell'anno.

A comandare erano i catanesi: erano loro a scegliere di volta in volta il gruppo a cui affidarsi: in una circostanza esclusero i marsalesi e in altra “fecero fuori” i trapanesi, a testimonianza della loro egemonia e del loro “peso” in termini di abilità. Agivano, infatti, in tempi rapidi e con grande coordinazione a tal punto che parlando con suoi complici Salafia disse: “Sembrano telecomandati”. Veri e propri esperti dalle skill elevate: alla guida dell'escavatore, Andrea Tropea impiegava appena cinque minuti a scardinare un bancomat. 

Un catanese, Andrea Tropea, era il vertice indiscusso della banda. Un marsalese (Isidoro Rallo) ed un trapanese (Gaspare Salafia) i vertici logistici in loco. 
Per realizzare i furti “professionisti della spaccata”, ossia i catanesi, sono entrati in contatto con il gruppo trapanese capeggiato da Massimiliano Salafia e con quello marsalese guidato da Isidoro Rallo, promettendo lauti guadagni in cambio di supporto logistico, uomini e mezzi. 

Una banda organizzata quasi militarmente: individuava gli obiettivi, si procurava i mezzi, riconosceva specifiche mansioni agli associati, isolava l'area del “colpo” impiegando propri uomini incappucciati e dispondendo strisce chiodate sull'asfalto attuando vere e proprie azioni di guerriglia. Professionisti che agivano nell'arco di dieci minuti e che si avvalevano anche di conoscenze specifiche per disinnescare i cosiddetti “sistemi intelligenti di neutralizzazione delle banconote” mediante ossigeno, o di dispositivi per l'inibizione delle radiofrequenze, come il jammer utilizzato per l'assalto alla banca Toniolo di contrada Terrenove-Bambina a Marsala. In quella circostanza alcuni residenti in zona, notata la banda in azione, avevano provato a chiamare le forze dell'ordine ma non ci riuscirono proprio per l'assenza di segnale telefonico.

I legami fra alcuni dei componenti della banda del bancomat erano iniziati in galera: in particolare Concetto Mannuccia e Gaspare Salafia avevano condiviso la stessa cella al carcere di Trapani fra il 2012 e il 2013. Tropea, Salafia e Anselmo erano stati anche in vacanza assieme nel marsalese.

Indagini lunghe e complesse, quelle che hanno consentito lo smantellamento della banda del bancomat: incroci su incroci di tabulati telefonici, di incontri fra membri del sodalizio, di visite nel trapanese da parte dei catanesi a ridosso dei colpi messi a segno.
La prima identificazione del vertice catanese della banda, cioè Tropea, e degli altri suoi accoliti è stata effettuata alla luce delle intercettazioni registrate a partire dal 26 febbraio del 2020 dopo le prime perquisizioni eseguite sempre in quella data: particolari che sono saltati alle orecchie degli inquirenti che stavano ascoltando alcune telefonate dei membri marsalesi e questi ultimi facevano chiaro riferimento ad Andrea Tropea. Intercettazioni successive permettevano di fare ulteriori collegamenti fra i vari membri del sodalizio risalendo anche ai pernottamenti nelle zone interessate dalle “spaccate” da parte dei catanesi.
Ulteriori ammissioni involontarie, inoltre, sono state fornite da Salafia durante un interrogatorio in Questura: gli venne sottoposto un manoscritto dove erano visibili le generalità di alcuni pregiudicati notoriamente dediti all'assalto dei bancomat e Salafia, una volta ritornato a casa, commenta quanto visto: “tutti cose sanno, dei catanesi hanno i nomi di tutti tranne che di...” ne parla con Antonio Anselmo anche nei giorni dopo facendo chiari riferimenti alle “spaccate” e aggiungendo altri nomi che non erano nell'elenco mostratogli in Questura.
Una svolta netta all'indagine arriva quando viene interrogato il proprietario della Fiat Punto rinvenuta bruciata dopo la “spaccata” all'istituto bancario di contrada Paolini di Marsala: messo alle strette Domenico Savalla affermò di avere partecipato in prima persona, nelle vesti di palo, al furto del bancomat. Savalla, in quella circostanza, fece anche  altri nomi di componenti della banda marsalese e riferì di altri soggetti che avevano inflessione palermitana e catanese. Particolari sulle modalità di azione del sodalizio che consentirono una più veloce ricostruzione dei fatti e l'individuazione della banda nella sua interezza.