Una foto di cent’anni fa: Nonna Carolina

Una foto di cent’anni fa: Nonna Carolina

di Jo March

Nel salotto d’inverno dell’antica Villa Fontana, su una delle pareti meno in vista, accanto ad un vetusto, quanto malconcio, cassettone del Seicento Siciliano, era appesa, incorniciata malamente, ma per fortuna protetta da un vetro, una vecchia foto di grande formato. La stanza in cui si trovava rimaneva quasi sempre chiusa e al buio, chè la villa era abitata solo da maggio a ottobre, perciò, neanche la luce del sole aveva potuto danneggiarla gravemente.

Pur conoscendo bene la casa, non avevo mai fatto caso a quella foto quasi nascosta dall’alto mobile che le stava di lato, ma un raggio di luce che in quel momento la colpì attirò la mia attenzione. Prendo la cornice tra le mani, delicatamente, temo possa dissolversi nell’aria. La porto vicino alla finestra per osservarla meglio, alla luce del giorno, ne osservo i particolari: le colonne del patio decorate con ghirlande di fiori, le bandiere stese a far da sfondo, il gruppo coreograficamente disposto di fanciulle vestite di bianco. Sul retro della foto leggo una data: venti giugno millenovecento.

La foto era comunque un po’ sbiadita e in alcune parti quasi cancellata, ma nell’insieme era ancora ben visibile il soggetto rappresentato. Ma cent’anni sono un secolo e, mentre la guardavo, sapevo che nessuna delle adolescenti vestite di bianco, schierate nel giorno del diploma di liuto al conservatorio di Palermo era più in vita.

Davanti al colonnato d’ingresso del conservatorio, ornato di palme e bandiere, compostamente sistemate su due livelli, affinché tutti i visi fossero ben visibili, le signorine, con lunghi abiti bianchi a manica lunga e accollatissimi, si presentavano in posa, abbracciando un liuto.

Magia di un’immagine! Conservare emozioni vive di un passato sepolto. I visi di quelle giovani fanciulle di nobile casato o almeno di facoltose famiglie dell’alta borghesia siciliana, mostravano, anche se con il dovuto riserbo, la gioia di vivere un momento speciale. Un’immagine ad alta densità di sogni, di speranze, decadente e malinconica a vederla dopo tanti anni. Che ne è stato di queste giovani? Quale vita le attendeva? E adesso dove sono? Sepolte nelle cappelle gentilizie, morte. E di loro cosa rimane se non questa foto. Ma questa foto è magica, le riporta in vita qui davanti a me, ai miei occhi sono vive, vere e mi riempiono di dolcezza e malinconia, per la fragilità che il tempo riserva a tutti coloro che corrono insieme a lui su questa terra.

Chiesi a mia suocera, allora quasi novantenne, memoria storica della famiglia, notizie su quella foto. Donna Flora Burgarella Fontana dei Baroni Todaro della Kalia, madre di mio marito, mi raccontò di nonna Carolina e mi segnò col dito, una delle signorine ritratte: la terza in basso da destra “Era mia madre - mi disse-. Io non la ricordo, perché morì nel millenovecentodiciassette, quando io avevo tre anni. Allora, un’influenza maligna chiamata Spagnola, si portò via tanta gente e lei con loro. Sono stata cresciuta da mia nonna che mi ha parlato tanto di lei”.

Carolina Burgarella era nata nel milleottocentoottantacinque, di lei conservo alcune foto e qualche piccolo dipinto. Una giovinetta esile e delicata con lunghi capelli raccolti in una treccia che le lascia libero il viso serio e pensoso. Educata nei migliori collegi di Palermo, dove si insegnava alle adolescenti a diventare spose di uomini di rango e madri di giovani rampolli dell’aristocrazia.

Nonna Carolina aveva mostrato da subito un carattere docile e allegro. Sapeva parlare correttamente in francese, come era allora di moda, ed era abbastanza colta da sostenere una piacevole conversazione nei salotti, aveva una particolare inclinazione per la pittura e ne conosceva le tecniche più raffinate. Conosceva la musica e suonava diversi strumenti, aveva anche una bella voce. Nella sua famiglia, d’altronde, tutti suonavano almeno uno strumento e, spesso, nei salotti di palazzo Burgarella, si facevano feste, nelle quali intervenivano fratelli, cugini e figli di amici della famiglia. Allora si danzava, si cantava si scherzava, si discorreva e … ci si innamorava. Di chi se non di un cugino o un parente? Solo questi erano i frequentatori più assidui di quelle feste.

Carolina e Agostino Burgarella, figli di fratelli, cugini di primo grado, ottenuta la dispensa del vescovo, si unirono in matrimonio nel millenovecentosei. Ebbero tre figlie, belle e vivaci e, quando Carolina morì, Agostino non volle nessun’altra donna accanto.