Palio di Siena: una ‘tradizione’ da cancellare
Il mio pensiero su un evento da medioevo
di Melissa Del Duca
Ci sono tradizioni che devono essere mantenute perché appartenenti alle nostre radici, ai nostri ideali, alla nostra storia e che vanno preservate dal trascorrere del tempo.
Ce ne sono alcune, invece, che non solo andrebbero abolite, ma catalogate negli archivi alla voce “umanità: cose di cui vergognarsi”.
Scrivo questo articolo oggi, 2 luglio, senza usare censure ai miei pensieri, per parlarvi del protagonista delle estati senesi: il palio.
Il palio di Siena nasce nel 1644 ed è sostanzialmente una sorta di giostra medievale. Niente di più affascinante, direi, se siete vissuti nel 1644, quando i cavalli erano considerati una risorsa talmente importante da dare perfino lustro ai nobili, e quando era uno tra i pochi divertimenti e modi per mettere in mostra le proprie doti cavalleresche. Sappiamo inoltre che l'etica non era certo il fondamento del medioevo, pertanto, prodi cavalieri del 1644, potrei essere indulgente con voi. Ma solo con voi.
In quegli anni, i cavalli erano molto diversi da allora. Strutturalmente più bassi, dovevano essere forti, pesanti, in grado di sopportare il peso di cavaliere ed armatura per centinaia e migliaia di chilometri. Erano molto simili a razze come il Frisone, il Norico, i nostri TPR (tiro pesante rapido).
La giostra, che era comunque molto cruenta, veniva corsa con cavalli del peso di 700-800-900 chilogrammi, con arti forti e grossi quanto una delle nostre gambe.
I cavalli che correvano i palii dell'epoca, erano completamente l'opposto degli attuali che guarderete in tv, o dal vivo, a luglio ed agosto.
Le contrade ora corrono con i mezzosangue, cavalli incrociati a metà con purosangue inglese puri. La finta tutela degli equini è stata proprio l'esclusione dei purosangue dal palio, per preservarli da una corsa spietata e pericolosa e senza logica, come se, per il mezzosangue, ci fosse gran differenza.
Conosco molto bene i cavalli, da ex-istruttore ed ex-agonista, penso di saperne qualcosa, ed è proprio il fatto che io sia ex-agonista ed ex-istruttore che dovrebbe dirla lunga. Ma la mia evoluzione interiore nei confronti dell'equitazione classica, la lascerei ad altro articolo, magari per un giorno meno funesto di quello odierno.
Avete mai visto la gamba di un purosangue o di un mezzosangue da vicino? E dico abbastanza vicino da poterla toccare? Non fatelo, potrebbe impressionarvi quanto sia esile e sottile. La mia gamba, anche se non è certamente quella di una modella, ha l'ossatura più grossa. Ne abbiamo due. Due gambe strutturalmente forti e resistenti che supportano variabili pesi da 50 a 100 kg di media.
E un cavallo da corsa? Beh probabilmente se chiudete pollice ed indice sopra il nodello di un cavallo (dove passano i tendini per capirci) riuscirete a toccarli. 4 zampe esili, sottili come carta velina, che supportano 500/600 kg di una creatura selezionata per correre. Addestrata perché il suo unico obiettivo sia arrivare primo, succeda quel che succeda e che spesso viene dopata affinché perda ogni istinto di conservazione.
E ora prendiamo quella creatura, che a due anni e mezzo, quando la sua ossatura non è nemmeno formata del tutto, viene buttata in un ippodromo per imparare a correre. Magari non è sufficientemente veloce per l'ippodromo e così viene ceduto alle contrade con un florido futuro da campione dei palii. Florido ovviamente se il palio lo corre senza morire...
Dal 1970 al 2015 sono morti ufficialmente (si, perché poi ci sono quelli che vengono portati via zoppi di cui non si sa più niente) ben 51 cavalli.
Teatro di una follia chiamata spettacolo, cantata con odi che parlano di tradizione, addirittura trasmesso sulle reti nazionali. E proprio da qui inizia il mio odio per il palio di Siena (e tutti gli altri), quando da bambina respiravo il mio amore viscerale per i cavalli, e cambiando canale in una estiva giornata afosa, trovavo sulla Rai una corsa di cavalli. I miei occhi verdi emozionati guardavano i cavalli prepararsi alla corsa. Mi batteva il cuore nel vederli così nevrili, agitati, incapaci di restare fermi davanti alla corda che traccia la partenza. Tentativi su tentativi per riuscire ad allineare i nevrili e bellissimi destrieri che non aspettavano altro che spiccare il volo e correre a perdifiato. Quella era ovviamente la mia immaginazione di bambina, con l'innocenza di chi pensa che i cavalli, in quel momento, siano felici.
Finalmente ce la fanno e 10 meravigliosi cavalli si lanciano al galoppo con i loro fantini, senza sella, alla conquista del palio. Io mi agito, vederli correre con i loro muscoli forti, le vene gonfie, le narici aperte e lo sguardo alla meta, me li fa vedere per quello che realmente sono: fieri, maestosi, generosi. E io una bambina ingenua che stava per vedere una delle cose che mi hanno segnata di più nel mio percorso di animalista.
Ed eccola lì, la più orribile delle curve al mondo: San Martino, che compie un angolo di 95° il cui tratto precedente è in leggera discesa ed inclinato trasversalmente con un dislivello di circa 90 cm, ossia tantissimo per chi lo sta percorrendo alla sua velocità massima, tra l'altro sotto frusta.
E' un attimo: un cavallo perde l'equilibrio, tocca gli altri, è un groviglio di innocenti scaraventati sulle paratie di legno. Alcuni si rialzano e riprendono l'inseguimento di quelli che la curva l'hanno superata, fantini a terra di cui non mi interessa affatto, ma una di quelle meravigliose creature non si rialza, non ce la fa, è vivo, si muove a stento. E io piango, perché so. Ma la corsa va avanti, lui continua a rimanere a terra, gli altri cavalli gli passano sopra, calpestandolo, obbligati a fare ciò che naturalmente un cavallo non farebbe. C'è un vincitore, la gente acclama, una contrada ha vinto.
E io piango, tutte le lacrime che una bambina possa piangere. Perché quel cavallo non si rialza, perché verrà abbattuto e trascinato fuori da un trattore mentre il mondo attorno esulta. Esulta per cosa? Non lo capisco, non lo capirò mai, nemmeno ora che di anni ne ho 45.
Questo è il mio pensiero per ogni forma di “corsa” ritenuta fonte indispensabile di “tradizione” e ci includo anche i palii e le corse con gli asini, il palio di Ronciglione, Sulmona, Asti e tanti altri, praticamente tutti, ippodromo compreso.
Non è stato l'unico quel cavallo che ho visto agonizzante, di incidenti, ma chiamiamoli col loro nome, ossia carneficine, ce ne sono stati tanti.
Quando, in terza media, ci hanno portato in gita a Siena, all'epoca ero timidissima e non parlavo mai con gli estranei, arrivai a litigare con la guida turistica che ci raccontava la meraviglia del palio di Siena. La provocai chiedendole quanti cavalli fossero morti per colpa del palio di Siena e quando la risposta fu la solita sentita nel corso degli anni decine di volte, ossia “nessuno, i senesi amano davvero i cavalli”, non ci vidi più. Non ho più voluto vederlo il palio alla tv, ma ho visto le immagini terribili e ho pianto tante altre volte. Perché quelle non sono tradizioni, è cattiveria pura. E francamente posso dirvi una cosa? Corretelo voi il palio, con le vostre gambe, verrei volentieri a fare il tifo!
Ci tengo a precisare che non ho nessuna ostilità verso i senesi, fortunatamente tra loro ce ne sono tanti che odiano il palio e si battono per la tutela dei cavalli, vorrei solo che vedeste il tutto dalla parte di un cavallo che ha una zampa spezzata, di uno che ha rotto l'osso del collo, o di quello che ha traumi da zoppia a vita.
Guardatelo dalla parte di Orbetello, Rio Marin, Teseo, Ballera, Volturno, Cassius, Brandano, Italico, Vienna Girl, Siecolo, Minoredda, Messi, Periclea (la cavalla grigia distesa a terra), Raol (nella foto principale, con l'arto spezzato) e tutte le altre vittime. Non mettete la parola “amore” accanto a “palio” non trattateci come stupidi, perché a voi interessa solo vincere, dei cavalli non ve ne frega proprio niente. Osservate il punto di vista di chi gli animali li ama davvero, senza “se” e senza “ma”.
E magari guardatelo anche dalla parte di una bambina che, in un afoso pomeriggio di luglio, spezzava il suo cuore a vita piangendo lacrime che ancora segnano la sua infanzia.