Ma tu vulive a pizza

Riflessioni "sott'occhio" sulle parole e sulla buona educazione

Ma tu vulive a pizza

In queste ore quanto successo a Paolo, il ragazzo appellato “gay” sulla comanda di ordinazione in una pizzeria sull’isola di Levanzo, di cui abbiamo dato notizia ieri, ha sollecitato inevitabilmente l’opinione pubblica a delle riflessioni. Diverse sono state le prese di posizione, politiche e non, a confronto. 

C’è chi è rimasto indifferente, c’è chi si è mostrato tollerante e poi c’è chi, come noi, condanna fermamente il fattaccio. Perché in questa società accadono cose imbarazzanti, come ad esempio l’uso improprio del  linguaggio che vuole mettere interi gruppi sociali al proprio posto. Paolo, allora, ha fatto rumore. Perché il gesto da lui subito va condannato a priori e senza strumentalizzazione alcuna. I gay fanno rumore. Sono una comunità, il cui senso di appartenenza è forte. Lavorano su una pacifica rivoluzione culturale, per un cambiamento che si avvicini il più possibile alla naturalità delle cose, per essere più attuale, una società pluri-sessuale, senza pregiudizi, in cui ognuno sia libero di essere se stesso e - soprattutto - restarsi fedele. Fanno rumore perchè è un loro diritto e lo fanno con cognizione di causa. Stanno cercando di conquistare, mantenere e tutelare un spazio di civiltà che ancora si fa fatica a condividere. 

L’episodio che ha investito Paolo è un attacco che affonda le radici in una società arcaica, che vede come possibili vittime il diverso nella propria generalità. Concepire il fattaccio come fenomeno culturale, quindi, potrebbe essere utile a tutte le persone coinvolte e non.  
Sacrosanto che tutti gli esseri umani hanno diritti, uguali ed inalienabili, e pari opportunità di esprimersi, cosi come sancito dalla Dichirazione Universale dei Diritti Umani, ma è altrettanto vero che da un excursus storico emerge un  contesto culturale predominante, mutato sicuramente nel tempo ,nella forma ed anche un pò nella sostanza, i cui perni fondanti sono stati da un lato la persecuzione e dall’altro la tolleranza repressiva. E questo fa si che siamo un po’ tutti portatori sani di omofobia (ma anche di razzismo, di maschilismo, di misoginia) e spesso non lo sappiamo, anzi, ci risentiamo se qualcuno ce lo fa notare. Se non ci apriamo al confronto, se non impariamo ad accettare le critiche costruttive, se non siamo in grado di esercitare l’arte dell’empatia predisponendoci all’ascolto della storia personale di ognuno di noi, non si possono sconfiggere i pregiudizi più radicati che abbiamo, anche inconsapevolmente. Quelli che albergano nella nostra identità culturale.

Paolo non ha nessuna voglia di nascondersi, di stare zitto, non è ancora stanco di rivendicare la libertà di essere se stesso. E noi non vogliamo smettere di esporci per i diritti, che sono i diritti di tutti e  non solo di alcuni.