Trapani dopo la sconfitta: ebbrezza, ostentazione, necessità

La riflessione di Francesco Mercadante

Trapani dopo la sconfitta: ebbrezza, ostentazione, necessità

La città che conquista il titolo di “capitale della cultura” riceve un milione di euro. Certo, non è una cifra da capogiro, non riduce il tasso di disoccupazione e non fa crescere l’indice di Sviluppo Umano, ma, come si suol dire, zucchero non guasta bevanda. L’amministrazione trapanese ha condotto una bella battaglia, forse un po’ al di sopra dei requisiti reali, come molti hanno fatto notare a muso duro. L’ha perduta proprio in finale; il che ‘deve’ significare inequivocabile gratificazione per l’intera cittadinanza. Si badi bene: sentirsi appagati dalla ventura non implica l’essere acritici! Anzi, è giunto forse il momento di aprire bene le orecchie e ascoltare tutti gli appunti fatti: dal biasimo all’apprezzamento. Se gli amministratori sapranno ridurre la distanza tra l’ente pubblico e l’opinione della comunità, sicuramente mostreranno notevole maturità e altrettanta saggezza. Non sarebbe male, addirittura, avviare delle consultazioni per categoria, così da ascoltare il parere autentico di chi ‘è la città’, non limitandosi semplicemente ad abitarla. Se la politica è anzitutto rappresentanza, allora essa deve darne testimonianza ben oltre il momento elettorale. Il cittadino ‘attivo’ va almeno consultato. In quest’ultimo caso, un’avvertenza: non il cittadino qualunque, bensì quello attivo: vale la pena di ripeterlo, giacché le democrazie non sono fatte per spettatori passivi. Chi pensa di avere solamente dei diritti commette un errore grossolano e non conosce neppure lontanamente il concetto di democrazia. Nello stesso tempo, è il caso di mettere al bando, senz’opportunità d’appello, coloro che si dilettano di facili invettive e malignità varie. Convincersi d’essere dei Metternich dal divano di casa è molto comodo. Allo stesso modo, passare in rassegna le lacune d’una città e i possibili difetti dei suoi governanti per poi farne mostra sui social network, spacciandosi per pensatori originali trascurati dal ‘potere’ è una forma di frustrazione dannosa e che scredita stupidamente la storia e l’immagine di Trapani, come anche di qualsiasi altro luogo. È vero: a Trapani mancano parecchie cose. Non abbiamo gli Uffizi, il Museo Egizio, il Colosseo, un’Accademia, un centro multiculturale et similia. Ciò però non c’impedisce di concorrere al raggiungimento di un obiettivo le cui ricadute economiche potrebbero permetterci di ridisegnare o anche solo concepire per la prima volta le infrastrutture culturali. Tra le altre cose, è bene porsi una domanda di metodo: coloro che reclamano a gran voce talune infrastrutture sono così sicuri che avrebbero un posto all’interno di esse? Se domani nascesse un’accademia sul modello di quelle fiorentine, per esempio, i requisiti per accedervi sarebbero, per l’appunto, accademici; la qual cosa costituirebbe un’esclusione netta per un bel gruppuscolo di urlatori e artistoidi senza curriculum. Bisogna ammetterlo: a tal proposito, in effetti, un problema esiste. Trapani, molto probabilmente, avrebbe bisogno di una fondazione. Lo stesso Tranchida, in più occasioni, s’è fatto portavoce di questa deficienza. E, inoltre, la gestione della cultura, molto di frequente, è affidata a una ristretta cerchia di soggetti senza titoli accademici. Ciò vuol dire che la cultura sta solo nei titoli accademici? Nient’affatto! Quasimodo, Nobel per la letteratura nel 1959, non era laureato, ma le sue traduzioni dei lirici greci, dell’Odissea e di Shakespeare ‘fanno scuola’ tuttora. Dunque? In primo luogo, il conseguimento di un titolo autentico rivela anche l’impegno e la disciplina intellettuale necessari al conseguimento; in secondo luogo, in assenza del titolo, l’affidatario dovrebbe essere una specie di Quasimodo. Altrimenti, corriamo il rischio di cancellare dal vocabolario il termine “meritocrazia” e, soprattutto, di fare delle figuracce a livello nazionale. In quanto alla questione delle ricadute economiche accennata in precedenza, non si deve dimenticare il caso palermitano. Nel 2018, Palermo, grazie al successo come Capitale della Cultura, ottenne un ‘ritorno’ economico diretto di più di 16 milioni di euro, poté fare investimenti per circa 40 milioni di euro, avviò importanti partenariati e riuscì a dar vita a 3.000 eventi culturali. Nonostante tutto ciò, la spazzatura è ancora abbondante lungo le strade. Pertanto, il difetto non esclude il successo, per quanto sia anomalo ammetterlo. Se torniamo per un attimo sul tema dei luoghi di promozione culturale, non possiamo fare a meno di citare il prestigio, ormai internazionale, dell’Ente Luglio musicale, il cui merito è indubbiamente del suo impareggiabile condottiero, Giovanni De Santis: non solo un uomo di cultura, ma anche un amministratore capace. Su questo, si potrebbe aprire un altro scottante dibattito, ma preferiamo tacere e andare avanti. De Santis è stato l’uomo del riscatto. Cosa ne sarebbe stato senza di lui? E ci tocca aggiungere che l’Ente ha un preciso fine, una sorta di missione, per così dire, non può, com’è naturale, occuparsi di tutto. Di conseguenza, molte discipline e molte proposte restano o sospese o ai margini, non essendoci altri medium di pari livello. Insomma, bisogna avere un po’ di coraggio e chiamare le cose col loro nome. Siamo stati bravi, abbiamo fatto bella figura, ma è appena il caso di passare oltre e non insistere. Se ci lasciamo prendere dalla smania della candidatura a tutti i costi, finiremo col farci proclamare “città delle città che si candidano a città di qualcosa”. È arrivato il momento di occuparsi delle piccole cose, dei bisogni primari della gente e, soprattutto, è doveroso farlo senza clamore. L’ostentazione è assai pericolosa. Rebus sic stantibus, appariremo come una damigella degnamente vestita e profumata, ma che non fa mai un bidet. Riformulando alla bisogna la Fenomenologia dello spirito di Hegel, possiamo affermare che “nel trionfo bacchico di ogni rivoluzione non c’è membro che non sia ebbro”.